Lo hai addestrato ad essere buono?
Si.
Brava.
Grazie. A rivederci
Piove (governoladro!), e forte.
Passeggiata-pipì della mattina, il primo giorno di Gennaio.
Girato un angolo, alla prima aiuola disponibile incontriamo uno dei “nemici” storici che bazzica il quartiere, il Bracco Italiano col suo Umano.
Il bracco, credo che si chiami Apollo, ha tutto il mio rispetto e ammirazione (e anche un po’ di compassione). Cane con aplomb invidiabile, pesantemente elegante e posato, costretto ad una vita seria, di rari momenti venatori col suo umano e di monotone passeggiate quotidiane trascinate in bici (giocare mai! altrimenti “il cane si rovina” - testuali parole del suo umano).
un Bracco Italiano
Durante le passeggiate al guinzaglio in città, ElNegro gli si scagliava contro quando lo vedeva da lontano o quando il proprietario lo portava vicino a noi seguendo la sua dritta, prepotente e immutabile traiettoria in bici.
Apollo ci vede e lo tradisce una insolita attivazione nel marcare: con enfasi sorprendente rispetto al suo solito stile, sale all’interno di una scomodissima aiuola alta, piena di roselline spoglie e spinose e lascia lì il suo messaggio.
ElNegro lo vede, si blocca e sento salire la tensione.
Il fumetto che esce dai suoi pensieri è esattamente:
<Mado’, ma proprio qui deve pisciare questo? Incontrarlo di prima mattina già mi rovina la giornata, ‘sto stronzo con le palle pendule”... >
Ma prima che il mio compagno nero e incazzuso inizi a pensare il seguito della frase
(cioè: < …… Ora lo ammazzo e me lo levo di torno per sempre. > ),
mi fermo, allungo il guinzaglio morbido, ruoto indirizzandomi verso il bar all’angolo, e gli sussurro sorridendo : “dai, ora piove, lo ammazziamo un’altra volta”.
ElNegro lo fissa. Poi mi guarda non troppo convinto sul perdersi questa occasione, ma aspetta. Aspetta, guarda lui e guarda me. Fa qualche passo e si ri-ferma seguendo con lo sguardo il “nemico”: sta facendo la sua scelta.
Mi guarda. Il fumetto ora mi dice:
< Vabè, si è allontanato. Adesso andiamo lì, dov'era lui, ché voglio almeno sniffare il messaggio che mi ha lasciato?>
Ok, andiamo.
<Sniffffffffff - Lo dicevo che era uno stronzo e, più che altro, stressato.
Ora lo mando a quel paese. Tiè, bracco dei miei stivali.>
Prima pisciatina sulla pianta di rose accanto. - Snifffff - Seconda pisciatina sull’altro fianco - e continuiamo la passeggiata sotto la pioggia.
L’umano si volta e mi fa:
“Lo hai addestrato ad essere buono?”
io: - (mille pensieri mi balenano in testa, ma …) “ Si”
“Brava”
io: - "Grazie. A rivederci.”
Avrei voluto precisare che non era la prima volta che il mio cane “evitava” di sbraitare contro il suo, anche se in passato erano ad una distanza maggiore.
Avrei tanto voluto dirgli - ma non gliel’ho detto - che tra la sua domanda (un po’ semplicistica) e la mia risposta (altrettanto semplicistica) c’è un mondo. Un universo, direi.
Avrei voluto dirgli che, in mezzo, esistono dimensioni spazio-temporali che si dilatano e si restringono nei microuniversi
del “frattempo”,
del “dentro” e del “fuori”,
del “cosa vorrei”,
dell’ “io” e dell’ “altro”,
del “vale la pena?”,
dell’ “alternativa” e della "scelta".
Avrei potuto raccontargli che, quando si evolve, ci sono “attimi” infiniti, lunghi come ore
e minuti che invece non bastano mai.
Che ci sono “istanti” senza valore se sei annebbiato, ma che possono trasformarsi in preziosa risorsa se in quegli istanti impari a valutare e a decidere lucidamente.
Ci sono “momenti” interminabili di attesa, avendo fiducia che qualcuno faccia la “scelta migliore”.
Ci sono “metri” che acquistano un valore impensabile, a seconda degli individui che ne stanno alle estremità.
C’è un lavoro sulle distanze e sulla valutazione di sé e dell’altro individuo.
C’è un apprendimento di percezione delle proprie emozioni e dell’uso di comportamenti alternativi.
C’è l’abituazione a fermarsi e a pensare.
C’è anche il valutare l’opzione “chi se ne frega”.
Ci sono “prospettive” differenti da conoscere ed accogliere.
C’è la paura e c’è il sostegno.
C’è il non sapere cosa fare. C’è il non poter fare ciò che si vorrebbe.
C’è l’imbarazzo.
C’è la soddisfazione di riuscire.
C’è un lavoro di evoluzione sull’umano e sul cane.
E, soprattutto, non esiste la possibilità di “addestrare” qualcuno ad “essere”.
Di sicuro c’è stato, c’è e ci sarà un lavoro continuo e un sostegno per la costruzione di un individuo nella sua singolarità e in coppia con un altro.
Una crescita su più fronti, non senza intoppi o regressioni. Con errori e con conferme .
C’è lo stare insieme e lo stare da soli.
C’è il gioco e c’è la corsa spensierata.
Ci sono i “si” , ci sono i “no”, ci sono i “dopo” e i “ma sei sicuro?”.
Avrei voluto dirgli che c’è l’imperfezione;
c’è l’alterità che va riconosciuta e accettata, come vanno accettati i momenti ”storti” in cui, nonostante i progressi fatti, il mio cane abbaierà di nuovo al suo, se gli girerà proprio male. E pazienza.
Quindi… il mio “si” sbrigativo non era proprio la risposta più realistica.
So che probabilmente per lui non avrebbe fatto differenza, ma la risposta giusta sarebbe stata:
“No, non l’ho addestrato ad essere buono. Ho solo dialogato e oggi ho scommesso; ho fatto la mia mossa di attesa, sperando che quel tot che siamo cresciuti insieme sarebbe bastato a compiere la scelta migliore per non svegliare tutto il quartiere in zona-covid rossa, con schiamazzi alle 9 del mattino, il giorno di capodanno.”
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